L’insostenibile ossessione di Yayoi Kusama abbinata a un bianco macerato


Foto: Artribune.it

Oggi parliamo delle ossessioni quelle che, entro certi limiti, fanno bene

Spesso sono legate alla pulizia (hai lavato le mani?) all’accumulo (no, questo non si butta!) all’ordine (i libri vanno riposti in ordine alfabetico) al controllo (ho chiuso la porta?) alla superstizione (andrà male, hai il cappotto viola).

Pensieri innocui che ci fanno sorridere se sappiamo ignorarli quando occorre.

Ma se questi pensieri ricorrenti li trasformassimo in gesti creativi. 
Potrebbero generare magnifiche opere d’Arte.

Per Yayoi Kusama la sua ossessione compulsiva di dipingere migliaia di puntini, reti, fiori e zucche è stata anche la sua salvezza.

Se fosse rimasta in Giappone dove è nata probabilmente avrebbe fatto la fine di Van Gogh.

Mentre oggi grazie alla sua “energia” è l’artista, ricoverata in psichiatria, più longeva al mondo: 93 anni il 22 marzo.

Una sorta di regina Elisabetta II dell’Arte. Inossidabile e altrettanto eccentrica.

Dipingere puntini, reti, fiori e zucche per Yayoi è una terapia.
Ha iniziato da bambina a riempire un foglio di puntini, poi il tavolo, le pareti e sé stessa.
E non si è più fermata. Ogni due/tre giorni realizza un’opera, anche a 90 anni. 

La sua musa sono state le allucinazioni. I suoi incubi la madre.

Avvolgere se stessa, le persone, i luoghi con i suoi punti è, forse, il suo modo di vendicarsi dalle repressioni di una madre che oltre a distruggere i suoi disegni, ne abusava sessualmente.

Punto come colpo. Punto e a capo.

Foto: Artribune.it

A 28 anni lascia il Giappone per andare a New York.

Si fa conoscere come l’artista che dipinge pallini ovunque, spesso su corpi nudi, con una velocità e concentrazione da mistica orientale.

Diventa amica di Giorgia O’Keeffe, influenza Andy Warhol (lui ripeterà bevande, zuppe e VIP) ma non trova la serenità.

Sceglierà di entrare in “manicomio”,
come chi sceglie di entrare in convento.

Oggi vive ancora nell’ospedale psichiatrico di Seiwa in Giappone e ogni giorno esce per andare nel suo studio a dipingere: non più solo puntini, ma fiori.


Gate – Shun Minowa

Shun Minowa dopo essersi laureato in biologia all’Università di Tokyo, si trasferisce a Travo (Piacenza), 2000 abitanti, nel cuore della Val Trebbia per produrre il vino che l’ha incantato e vivere nel territorio in cui si sente – incredibilmente – a casa.

L’unica etichetta che produce è un vino bianco macerato, dal caratteristico colore “arancione zucca”. Porta il nome di Gate, in sanscrito, dal “sutra del cuore” ossia saggezza suprema. 

Nel Gate troviamo il frutto tropicale, l’amaricante erbaceo, l’aromaticità floreale e la freschezza sapida: un vino intenso, magnetico, carismatico. 

Degustatelo con moderazione, può diventare un ossessione.

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